Quando il faraone Cheope salì sul trono dell’Egitto, immediatamente
cominciò a commettere ogni genere di malvagità. Chiuse i templi e impedì
al suo popolo di recare offerte agli dei. Al contrario, costrinse tutti
i suoi sudditi, senza eccezione alcuna, a lavorare duramente per lui.
Alcuni dovevano trascinare grossi blocchi di pietra dalle cave fin sulla
riva del Nilo. Altri poi si dovevano prendere cura di quegli stessi
blocchi non appena erano stati trasportati con le chiatte sull’altra
sponda del fiume e trascinarli sull’altura prescelta.
Centomila uomini erano costretti a faticare senza sosta per lui, e ogni
tre mesi venivano sostituiti da una nuova squadra di operai. Ci vollero
dieci anni di dura oppressione del popolo perché fosse costruita la
rampa che consentiva il trascinamento dei blocchi [...] perché fosse
spianata la sommità della collina e perché fossero preparate le camere
che Cheope intendeva usare come dimora funeraria [...]. La costruzione
della piramide vera e propria richiese vent’anni [...].
Erodoto, Le Storie, Libro Il, 124
Quando, nel V secolo a.C., il grande scrittore greco Erodoto andò a fare
il turista in Egitto, la Grande Piramide di Cheope (il faraone della IV
Dinastia oggi comunemente noto anche con il suo nome egizio, Khufu)
aveva già più di duemila anni. Come ogni turista che si rispetti,
Erodoto visitò la piana di Giza; ammirò le tre piramidi e ascoltò i
racconti delle guide locali, che poi inser’i puntualmente nelle sue
Storie.
In questo modo diede al mondo la prima spiegazione su come, e da chi,
furono costruite le piramidi. Non c’è dubbio che agli occhi di Erodoto,
un greco abituato all’idea dell’esistenza di schiavi di proprietà dello
stato, l’impiego di manodopera costretta ai lavori forzati per la
realizzazione di progetti di interesse regale apparisse del tutto logico
e comprensibile.
Cinquecento anni dopo, questa spiegazione sarebbe stata fatta propria e
ulteriormente rielaborata dallo storico ebreo Giuseppe Flavio. Compiendo
un errore di oltre mille anni, Giuseppe Flavio era certo di sapere chi
fossero gli sfortunati schiavi che erano stati costretti a erigere le
piramidi: «Gli egiziani costrinsero [gli ebrei] a scavare numerosi
canali artificiali per le acque del loro fiume, e a costruire mura e
terrapieni con cui le loro città sarebbero state al riparo dalla piena
del Nilo [...].Li obbligarono anche a lavorare alla costruzione delle
piramidi, e con questo immane lavoro li oppressero».
Duemila anni dopo la visita di Erodoto, le piramidi conservano intatto
il proprio fascino. Ogni anno e da ogni parte del mondo, i turisti
arrivano a frotte sulla piana di Giza: anche oggi rimangono a bocca
aperta e ascoltano attoniti il racconto delle guide. La maggior parte
dei moderni visitatori è tuttavia fermamente convinta di sapere in che
modo furono costruite le piramidi.
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